Il primo passaggio della fase esecutiva è costituito dall’ordine di esecuzione. Prima di analizzare tale fase è opportuno accennare alla definizione stessa di pena.
Con tale espressione suole farsi riferimento alla misura afflittiva coattivamente irrogata all’autore del reato in conseguenza dell’accertamento giurisdizionale di un illecito (ovvero in presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole).
La materia è sorretta da numerosi principi costituzionali, i quali ne governano l’applicazione concreta. A tal uopo giova rilevare come vengano in rilievo il principio di legalità exart. 25 Cost. in ossequio del quale il Legislatore ha il monopolio non solo nell’individuare le condotte penalmente rilevanti, ma anche le conseguenze punitive che da esse discendono e il disposto di cui all’art. 27 Cost. da cui si desumono il principio della personalità della responsabilità penale, della proporzionalità della pena, nonché del finalismo rieducativo della stessa. Da ultimo, dal co. 4 del medesimo articolo si evince il divieto di irrogare la pena di morte.
Nel novero delle pene occorre distinguere le pene principali da quelle accessorie.
Le prime trovano la loro fonte nell’art. 17 c.p. e si suddividono in detentive e pecuniarie. Tra le pene detentive possono annoverarsi la reclusione e l’arresto, a seconda che si tratti di delitti o contravvenzioni. Quelle pecuniarie, invece, sulla base dello stesso distinguo operato poc’anzi, sono la multa e l’ammenda. Queste sono connotate da mobilità, perché vanno da un minimo ad un massimo legislativamente predeterminato, il c.d. edittale. Il Giudice è poi il soggetto preposto alla cd. commisurazione della pena: tale attività consiste nell’individuare – motivando debitamente - il quantum di sanzione applicabile, tenuto conto del caso concreto e dei criteri predeterminati dal Legislatore.
Le pene accessorie, invece, trovano la loro disciplina all’art. 19 c.p.
Si tratta di misure afflittive e interdittive che comportano la perdita o la limitazione della capacità giuridica, dell’attività o della funzione di un soggetto, accrescendo così l’afflittività della pena principale.
Il sistema sanzionatorio, così come delineato, ha avuto una svolta verso un sistema sanzionatorio differenziato tra gli anni ‘70 e ‘80 (L. 354 del 1975 e L. 689 del 1981), quando venivano introdotte misure alternative alla detenzione, incidenti nella fase esecutiva della pena. Queste sono:
1) l’affidamento in prova al servizio sociale
2) il regime della semilibertà
3) la detenzione domiciliare
4) la semidetenzione
5) la libertà controllata
6) la pena pecuniaria sostitutiva alla pena detentiva.
Passata in giudicato, e quindi divenuta esecutiva, una sentenza di condanna, ha inizio la fase finale del procedimento penale, rappresentata dall’esecuzione. Tale fase è preordinata a garantire che i provvedimenti emessi nell’ambito del processo abbiano una loro effettività. Protagonisti della fase esecutiva sono il pubblico ministero, che ha un ruolo primario, il giudice dell’esecuzione, la magistratura di sorveglianza, l’amministrazione penitenziaria e gli uffici locali di esecuzione penale esterna (c.d. UEPE).
L’atto propulsivo dell’esecuzione delle pene detentive è l’ordine di esecuzione, disciplinato all’art. 656 c.p.p., il quale contiene l’ordine alla polizia giudiziaria di condurre immediatamente in carcere il condannato, se non già detenuto. Questo deve essere notificato personalmente nelle mani del condannato ed, entro trenta giorni, al difensore dello stesso.
Requisiti indefettibili di tale provvedimento sono: le generalità della persona condannata, l’imputazione, il dispositivo e le ulteriori disposizioni necessarie per l’esecuzione.
In questa fase assume una particolare importanza il quantum di pena concretamente irrogata al condannato. Qualora questa ecceda i quattro anni, il pubblico ministero emetterà l’ordine di esecuzione per la carcerazione e il reo sarà immediatamente condotto in carcere. Se, al contrario, la sanzione risulti essere inferiore a detta soglia, la disciplina legislativa tenderà ad evitare la carcerazione di persone che abbiano i requisiti per accedere alle misure alternative alla detenzione. Di conseguenza, il pubblico ministero emetterà l’ordine di esecuzione e, contestualmente, il decreto di sospensione dello stesso. Questo provvedimento verrà notificato al condannato e al suo difensore e, dal momento della doppia notifica, decorrerà il termine di trenta giorni concesso agli stessi al fine di chiedere una misura alternativa tramite apposita istanza. Presentata quest’ultima entro i termini di legge, il pubblico ministero la trasmetterà al tribunale di sorveglianza competente che, analizzando la documentazione depositata, deciderà nel termine – non perentorio – di quarantacinque giorni. Il Tribunale, sussistendone i relativi presupposti, potrà concedere una misura alternativa (affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà o la sospensione per i tossicodipendenti).
Qualora, invece, il condannato o il suo difensore non presentino l’istanza o non rispettino i termini di legge, il pubblico ministero revocherà il decreto di sospensione, con conseguente carcerazione del reo. Lo stesso avverrà qualora il tribunale respingesse l’istanza o la dichiarasse inammissibile.
Occorre tuttavia precisare che la L. n. 199 del 2010 (c.d. Legge svuota carceri) ha introdotto una particolare forma di detenzione domiciliare, applicabile nei casi di pena detentiva inferiore ai diciotto mesi. Qualora il condannato non utilizzi la sospensione exart. 656 c.p.p. per negligenza, per mancato rispetto del termine, per altra causa di inammissibilità o per ragioni ostative, il pubblico ministero può valutare d’ufficio la concedibilità della misura, la cui applicazione è deliberata dal magistrato di sorveglianza con procedimento de plano. La giurisprudenza prevalente ritiene che tale istituto non sia invece applicabile nel caso in cui il tribunale di sorveglianza rigetti l’istanza, correttamente presentata, e quindi ritenga il condannato non meritevole delle misure alternative.
Vi sono determinati casi, invece, in cui nonostante la presenza di una pena detentiva “breve” (inferiore cioè ai quattro anni), il pubblico ministero è tenuto ad emettere l’ordine di esecuzione per la carcerazione senza decreto di sospensione. Ciò in quanto l’art. 656 c. 9 c.p.p. prevede dei divieti alla sospensione dell’esecuzione delle pene brevi qualora siano stati commessi reati considerati particolarmente gravi - quali quelli disciplinati dall’art. 4 bis L. 354 del 1975 o quelli p. e p. agli artt. 423 bis, 572 c.2, 624 bis, 612 bis del codice penale - oppure qualora il condannato si trovi già in custodia cautelare in carcere per il reato in relazione al quale è stata irrogata la pena da eseguire.
Qualora, invece, il condannato si trovi agli arresti domiciliari, sempre per il medesimo fatto, l’art. 656 c. 10 c.p.p. prevede che la limitazione della libertà personale perduri nella stessa forma.
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