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Particolare tenuità del fatto, casellario giudiziale e provvedimento di archiviazione


Il principio di frammentarietà impone di costruire il sistema sanzionatorio alla luce dei principi di meritevolezza, proporzionalità della pena e sussidiarietà. Ne consegue che, specie negli ultimi anni, si è sentita sempre più l’esigenza di depenalizzare fatti bagatellari, privi di anti-socialità.


La legge delega n. 67 del 2014 ha, per l’appunto, ritenuto di accogliere le indicazioni di quanti sostenevano da tempo la necessità di un diritto sanzionatorio minimo, attraverso la riduzione del numero delle fattispecie incriminatrici e attraverso l’individuazione di un coefficiente significativo di lesione degli interessi tutelati. In attuazione di tale delega, il d.lgs. n. 28 del 2015 ha introdotto l’art. 131 bis c.p.

È stata così introdotta una nuova causa di non punibilità, afferente al diritto penale sostanziale, che mantiene fermo il fatto di reato, accertato in tutti i suoi elementi costitutivi, ma prevede la possibilità di rinunciare alla sanzione quando la fattispecie concreta si attesta su una soglia di gravità particolarmente bassa.


L’art. 131 bis c.p. prevede alcuni presupposti di operatività, al di fuori dei quali non è applicabile la relativa disciplina. In particolare, si fa riferimento al massimo edittale applicabile per il reato posto in essere, la valutazione della modalità della condotta, da effettuarsi ai sensi dell’art. 133 c. 1 c.p., l’esiguità del danno e del pericolo cagionato, la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento (viene considerato abituale non solo il comportamento di colui che sia stato dichiarato delinquente abituale o professionale, ma anche quello di colui che abbia commesso più reati della stessa indole ovvero reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate).

Quanto al primo presupposto, ai fini della determinazione della pena - secondo la Suprema Corte - l’articolo 131bis c.p. impone che si tenga conto solo delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale, tra cui rientra, a titolo esemplificativo, la recidiva ex articolo 99, comma II, c.p. Ciò può, dunque, determinare il superamento del limite edittale dei cinque anni previsto dal citato articolo 131-bis c.p. per l’applicazione della causa di non punibilità (cfr. Cass., 25 maggio 2017, n. 26315).


Particolare importanza, ai fini della piena comprensione di questo istituto, sono le sentenze gemelle delle Sezioni Uniti, n. 13681 e 13682 del 2016, le quali hanno chiarito alcuni aspetti fondamentali. In primo luogo, hanno ribadito la natura giudica di causa di non punibilità in senso stesso dell’istituto, chiarendone conseguentemente i rapporti con il principio di offensività. Hanno poi ritenuto compatibile l’art. 131 bis c.p. con gli illeciti caratterizzati dalla presenza di soglie di punibilità (nel caso specifico quelli previsti dal codice della strada), nonché con quelli ad offesa non graduabile e unisussistenti (es. rifiuto di sottoporsi a test alcolemico).


L’istituto trova applicazione sia come causa di archiviazione, escludendo in radice l’instaurazione di un processo: in tal caso, la richiesta di archiviazione deve essere notificata non solo alla persona offesa ai sensi dell’art. 408 c.p.p. (ove richiesto o nei casi espressamente previsti dalla legge), ma anche all’indagato. Tale obbligo è conseguenza del fatto che l’archiviazione ex art. 131 bis c.p. è un’archiviazione “di rito” e non di merito e, quindi, potrebbe non essere favorevole all’indagato, il quale ben può avere tutto l’interesse ad ottenere una archiviazione sostanziale. Inoltre, la norma funge anche da causa di proscioglimento al termine dell’udienza preliminare o del giudizio, tanto all’apertura che al termine del dibattimento.


Con l’ordinanza n. 9836 del 27.2.2019, la Prima sezione della Suprema Corte – preso atto del contrasto sul punto - aveva rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito di diritto: «Se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto a norma dell’art. 131-bis c.p. sia soggetto all’iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313»


L’orientamento maggioritario riteneva non necessaria l’iscrizione nel casellario, non trattandosi di un provvedimento definitivo.


Al contrario, un secondo orientamento – sempre più diffuso – riteneva invece necessaria l’iscrizione per diverse ragioni così sintetizzabili:

- In primo luogo, la mancata iscrizione avrebbe precluso una successiva valutazione della personalità dell’indagato e non avrebbe consentito di valutare correttamente la “non abitualità del comportamento dell’indagato”, presupposto indefettibile per l’applicazione della norma;

- Sul piano sistematico, la rilevanza del provvedimento di archiviazione si desumerebbe dal disposto dell’art. 411 co. 1 bis c.p.p. che obbliga a dare avviso all’indagato, trattandosi di un’archiviazione di rito e quindi meno favorevole;

- Infine, aderire ad una soluzione differente creerebbe un’ingiustificata differenza di trattamento tra il proscioglimento e l’archiviazione ex art. 131 bis c.p.


Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite (c.c. 30.5.2019, Pres. Carcano) le quali, aderendo a questo secondo orientamento, hanno affermato il seguente principio di diritto: «Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131- bis cod. pen. deve essere iscritto nel casellario giudiziale, fermo restando che nonne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell'interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione».

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